Era la
sera dell’8
gennaio 1993. Esattamente 21
anni fa. A Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), Beppe Alfano, corrispondente del
giornale La
Sicilia,
veniva ammazzato a bordo della sua auto.
Alfano non era solo un giornalista
scomodo. Era una persona scomoda.
Proveniente dall’estrema destra,
militante dell’MSI, era rimasto quello che si dice un “cane sciolto”, per nulla
incline al compromesso e con un alto senso dello Stato.
Cosa Nostra gestiva gli affari a
Barcellona Pozzo di Gotto, dialogando con i politici e con la magistratura
locale.Beppe Alfano aveva
scoperto una possibile loggia massonica deviata, in cui comparivano i nomi di
mafiosi (Rosario Cattafi, Giuseppe Gullotti), politici (Domenico Nania – AN/PDL)
e magistrati (Giovanni Lembo e Antonio Franco Cassata).Le parole del pentito Maurizio Avola
confermerebbero quest’ ipotesi. Secondo Avola il mandante occulto dell’omicidio
sarebbe un certo Giovanni Sindoni, massone con amicizie fra magistrati e
politici. Tra i possibili moventi, vi è quello della scoperta degli interessi
economici del capomafia Nitto Santapaola e di alcuni imprenditori legati alla
massoneria, dietro al commercio di agrumi e ai fondi europei, oltre al fatto di
aver intuito che l’allora latitante Santapaola si nascondeva, ben protetto, a
Barcellona Pozzo di Gotto.Si
è seguita anche la pista Aias (Associazione italiana assistenza spastici). Un
altro scandalo su cui indagava Alfano, che aveva scovato assunzioni facili,
tangenti e traffici per miliardi di lire.Lasciato solo dagli uomini
del suo partito e, in generale, dal mondo delle istituzioni, Beppe Alfano sapeva
che sarebbe stato ucciso.Sono stati celebrati quattro processi. In
carcere è finito il mafioso Gullotti come esecutore materiale dell’omicidio ma
noi ancora non ne conosciamo i veri mandanti.