Pull rosa salmone, collana di perle e pietre dure: sorride.
Minacce e intimidazioni non le fanno paura: Adriana Musella parla di uomini delle istituzioni collusi con la mafia, che distruggono, annientano, cancellano il lavoro pazientemente fatto nelle scuole per seminare germogli di legalità e semi di speranza.
E' una controrivoluzione difficile da combattere, quella contro chi viene dall'alto.
"Riuscirà mai a cancellare quella macchia grigia dalla sua memoria?".
3 maggio 1982. Via Apollo, Reggio Calabria.
Una autobomba esplode, spargendo nell'area circostante brandelli del corpo dilaniato di un ingegnere salernitano. Una macchia grigia resta sul muro del palazzo di fronte a quello dove vive la giovane Adriana. Tracce del cervello di Gennaro Musella.
Non era un burocrate, né un magistrato, né un politico.
Quell'uomo era suo padre.
Un uomo comune, un professionista che aveva fatto qualcosa che non doveva fare, che aveva denunciato irregolarità e connivenze politiche in una gara d'appalto pilotata dai "Cavalieri dell'Apocalisse" di Catania.
"Mai si potrà eliminare quella macchia grigia", dichiara Adriana Musella.
"Mai potrò toglierla dalla mia memoria, mai potrò cancellare il dolore. Posso, però, dargli un senso con l'impegno, costruendo un'etica della memoria basata sulla formazione e l'informazione".
Dell'educazione alla legalità attraverso la testimonianza ha fatto la sua missione, impegnandosi in una battaglia di sensibilizzazione nelle scuole.
"Fino a qualche anno fa tanti erano coloro che arrivavano a negare l'esistenza della mafia. Ora il ricordo di quello che è successo a mio padre vive aldilà di me".
Per i tanti, spesso anonimi, soldati in trincea contro la mafia si è scelto un fiore: una gerbera gialla, simbolo di solarità e rinascita, emblema della speranza e della determinazione di coloro che lottano per non dimenticare, perché si possa diventare, tutti insieme, il cambiamento.